Intervista a Fabio Arpe: 2024: l’anno nero delle pmi! Fabio Arpe spiega perché

Nel 2024 molte pmi potrebbero andare in crisi. Una crisi irreversibile per effetto di una politica dei tassi scellerata e del sovraindebitamento accumulato nell’era Covid: «ripagare le rate con il costo del denaro attuale è insostenibile per le aziende con un’ebitda inferiore al 5% e bassa patrimonializzazione», dice a Industria Italiana Fabio Arpe banchiere di lungo corso, la cui storia nel mondo della finanza inizia nel gruppo Imi alla fine degli anni Ottanta. Arpe oggi Arpe Group, che aspira a posizionarsi nel mercato come la Mediobanca delle pmi: il suo dunque è un punto di vista che arriva da un osservatorio privilegiato. «Quello che dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi è una selezione naturale di pmi. Gli imprenditori stanno alla finestra, non investono e non innovano: ma è la cosa più sbagliata che si possa fare in questo momento». La più sbagliata ma probabilmente l’unica possibile, in assenza di liquidità.

Tornando ai numeri, anche Cerved attesta che le situazioni di crisi non sono necessariamente irreversibili. Sulla base dell’indice Back-to-Bonis Score modellando su oltre 22.000 pmi in situazioni di crisi o di forte rischio, il 24% ha ottime e il 52% buone possibilità di rientro in bonis. Ma quali sono le caratteristiche endogene che permettono a un’impresa di non entrare in crisi e di svilupparsi? Cerved ha analizzato i tassi di sopravvivenza delle nuove nate nel corso della crisi pandemica, osservando come la capacità di radicarsi sul mercato sia spesso associata a determinati assetti di governance e pratiche manageriali.

Ad esempio, dopo un anno hanno dimostrato percentuali di radicamento molto più elevate le imprese a controllo familiare (57,9% contro il 50,5% di media), quelle con un amministratore delegato esterno (60,1%), le start-up innovative (51,4%), le aziende guidate da under 35 (52,2%), e quelle con leadership femminile: in controtendenza rispetto agli altri cluster, migliorano il tasso di sopravvivenza, passando dal 57,1% del 2020 (per le nate nel 2019) al 58,2% del 2021 (per le nate nel 2020). Simili evidenze si osservano anche per le imprese “zombie” che riescono a risanarsi: le PMI a controllo familiare presentano percentuali nettamente più alte rispetto al dato generale (67,1% contro 61,1%) e soprattutto tassi di uscita dal mercato più bassi (2,4% contro 6,4%); lo stesso vale per quelle a conduzione femminile (63,7% risanate e 3,1% uscite dal mercato). L’Italia delle pmi può farcela, ma deve affrontare con coraggio la sua realtà e agire con determinazione. La palla ora è in mano agli imprenditori.”